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domenica 30 aprile 2017

Spaghetti di farro con salsa di melanzane, ceci e patate viola.



Primo piatto molto sostanzioso e "completo" in quanto unisce cereali e legumi.
E’ una piatto ideale per le persone che soffrono di anemia,  i ceci infatti sono legumi ricchi di ferro. 
Per preparare questa ricetta ho usato la pasta di farro che ben si abbina alla cremosità della salsa.

Ingredienti per 4 persone:
  • 500 gr di spaghetti di farro
  • due melanzane viola
  • due patate viola
  • una cipolla di tropea
  • una scatola di ceci cotti
  • due spicchi d'aglio
  • un pomodoro medio
  • timo, rosmarino e maggiorana in polvere (o tritati)
  • olio extravergine d'oliva
  • sale
  • 2 cucchiai di pinoli
Sbucciate le melanzane, tagliatele a fette, adagiatele su un piatto, cospargetele con poco sale grosso e fatele spurgare per mezz'ora. Lavate e sbucciate le patate, mettetele a bollire per 20 minuti. Trascorso il tempo necessario sciacquate bene le melanzane sotto l'acqua corrente, asciugatele con un panno carta e tagliatele a cubetti. Scolate le patate e schiacciatele con lo schiacciapatate. Mettete da parte. Tagliate la cipolla, i due spicchi d'aglio e il pomodoro, aggiungete le erbe aromatiche (mescolare mezzo cucchiaino di ognuna)  le melanzane e far appassire tutto a fuoco basso in una padella ampia, con due cucchiai di olio evo. Dopo cinque minuti dalla cottura aggiungete i ceci in scatola e mezzo bicchiere del loro liquido. Aggiungete poco sale (assaggiare sempre!!) Continuare a cuocere fino a che le melanzane non si sono ammorbidite, poi trasferite tutto nel barattolo del mixer , formate una crema alla quale aggiungerete i fiocchi di patate viola mescolando. Versate la crema nella padella  . Cuocete la pasta, scolatela e saltatela assieme alla crema di melanzane e patate viola, cospargete con un paio di cucchiai di pinoli e servite con un filo d'olio...

Song: "White Riot" The Clash

Ad inizio 1977 i The Clash firmano un contratto da centomila sterline con l’etichetta CBS Records, e pubblicano il loro primo album, prodotto dal fonico Mickey Foote,  intitolato semplicemente “The Clash”. Il disco è composto da quattordici brani ed il successo, sia di vendite che di critica, fu eccezionale, brani brevi ma che arrivavano sempre dritti all’obiettivo, schiettezza contornata da ottimo sound, ed alcune della canzoni presenti sono ancora oggi considerate dei veri inni del punk rock. “The Clash”insieme alla tardiva e differente versione americana del 1979, mette in musica lo “scontro” profetizzato dalla band. La vecchia Inghilterra viene invasa da frenetici accordi al limite dell’elementare e messa completamente sottosopra da una banda di musicisti sboccati e rivoltosi. Il rock and roll, ripulitosi progressivamente dopo gli anni 60, può tornare, così, a sprigionare un nuovo alone di irriverenza, alimentata dal vorticoso furore punk.
Il lavoro d’esordio dei Clash riesce a fotografare al meglio  cosa significava essere giovani negli anni settanta in inghilterra: parla di noia, di crisi d’identità, brutalità di un ambiente moderno dominato dal cemento, droghe, disoccupazione, disinganno, frustrazione, esclusione. Le parole usate nei testi sono fortemente evocative: wops (immigrati), skag (sigaretta ma anche eroina), pacchi bomba, repressione .I Clash chiamano alle armi la loro generazione di guerriglieri urbani, aizzandoli con la promessadi una “White Riot” (singolo di debutto ispirato dalle rivolte del Notting Hill che avvennero nell'agosto del 1976, quando Joe Strummer e Paul Simonon sono stati testimoni e protagonisti attivi del caos.)“London’s Burning” che, su un riff impastato, diventa il vero manifesto dell’infuocato anno londinese.
Su questi veloci pilastri sonori si regge l’intero album che, così, è libero di allargarsi con il suo stile selvaggio e dinamitardo. I Clash sembrano divertirsi a smontare e rimontare il vecchio rock and roll quando partono brani che assomigliano a sgraziate e irriverenti marcette: il rullante di “Janie Jones”, la caracollante “Remote Control” forte critica verso la polizia ed i loro metodi violenti adottati verso il pubblico durante i concerti punk; e, ancora meglio, il pirotecnico finale corale di “Complete Control”. dove sfogavano la loro rabbia verso l’industria discografica ed il suo potere dominante.
Strummer e Jones riescono a confezionare un sound spartiacque che lega indissolubilmente la lezione di un tempo con il futuro che avanza..hanno nelle mani la pala per seppellire ciò che è stato per trasformarlo in ciò che sarà.  La Lennon-McCartney del punk, tuttavia, non è soltanto un continuo assalto sonoro, ma riesce addirittura a non rimanere intrappolata nella sua stessa rabbia di tre accordi. I Clash, a differenza dei Pistols, hanno nel sangue il senso melodico (“Hate And War”) e, soprattutto, la voglia di sperimentare strade diverse.
E’ qui che, in The Clash, si incontra il sole fumoso di Brixton e il suo reggae pulsante che contamina splendidamente “(White Man) In Hammersmith Palais” e la cover di Junior Marvin/Lee Perry “Police And Thieves”, che vive quasi una vita propria grazie al groove del basso di Simonon. disco che sfiora la perfezione grazie ad un’ineccepibile parte strumentale e la voce graffiante di Joe Strummer che formarono un binomio inattaccabile. I loro ideali guardavano sempre alla parte debole del popolo, sentendosi così portavoce della classe disagiata inglese di quel periodo, e la loro sfrontatezza nell’esprimere chiaramente i propri ideali portò anche dei problemi.
Dopo la registrazione di The Clash il batterista Terry Chimes abbandonò il gruppo, tant’è che nella copertina di questo disco sono presenti solo gli altri tre membri; dopo una serie di provini fu assunto Nick “Topper” Headon alle bacchette, per poi rimanerci a lungo.
Un disco, quindi, che segna la sua epoca, entusiasticamente riassunto da Pete Silverton di “Sounds”: “Credo che i Clash debbano a buon diritto sedersi al tavolo dei Beatles e degli Stones. Se non ti piace 'The Clash', non ti piace il rock and roll”.







domenica 23 aprile 2017

Orecchiette piccanti con mozzarella di bufala e verdure



La ricetta di questa domenica è perfettamente abbinata alla band che l'accompagna, un mix di fresco, cremoso, saporito e piccante che stuzzichera il vostro palato!

Ingredienti:
  •      350 g orecchiette
  •      10 pomodorini piccadilly
  •      1 spicchio d’aglio
  •      6 filetti di acciughe sott’olio
  •       150 g mozzarella di bufala
  •       olio d’oliva EVO
  •       1 cucchiaio abbondante di granella di mandorle
  •       10 asparagi
  •       sale q.b.
  •       peperoncino q.b.
  •       pepe q.b.


Tagliate gli asparagi in piccoli pezzi e metteteli a bollire in acqua salata. Mettete a bollire l’acqua per le orecchiette. Nel frattempo tagliare l’aglio a fettine sottili e mettetelo a soffriggere in padella a fuoco basso, con i filetti di acciughe e un filo d’olio. Tagliate i pomodori a cubetti e aggiungeteli in padella. Amalgate bene il tutto e una volta cotti aggiungete gli asparagi e un mestolino di acqua di cottura della pasta. Quando il sughetto si sarà ben amalgamato aggiungete il peperoncino ( a ognuno la sua quantità ideale..se vi piace piccante, abbondate altrimenti ne basta un pizzico!) Far cuocere le orecchiette e una volta pronte travasatele nella padella col sugo e aggiungete la mozzarella spezzettata grossolanamente con le mani. Fate saltare per qualche secondo e servite aggiungendo la granella di mandorle..

Song: "The Lemon Song" Led Zeppelin



L’uscita di “Led Zeppelin I” aveva lasciato dietro di se un eco di consensi notevole: l'album d'esordio dell'omonima band era andato ben oltre il successo sperato, portando il quartetto britannico da un relativo anonimato alla fama mondiale in poche settimane. Dal momento che gli Zeppelin, primo fra tutti il loro manager Peter Grant, sapevano bene che la potenza e la personalità della band si esprimevano soprattutto negli spettacoli dal vivo, il periodo successivo l'uscita del primo disco fu seguito da un'epopea di concerti tra Europa e Stati Uniti. In particolare, da giugno ad agosto gli Zeppelin si esibirono in quattro tour europei e tre negli States, per decine e decine di date, talvolta più di una in un giorno. Fu in quel periodo di iperattività che "Led Zeppelin II" , il secondo album in studio della band di Jimmy Page, venne composto e registrato. Rispetto al primo disco, che a quanto ci dice lo stesso Page era stato registrato in appena 30 ore, per questa seconda fatica occorsero circa otto mesi di lavorazione, spezzettati tra le interminabili date ed i conseguenti viaggi in pullman ed in aereo, le sbronze, le groupies e tutto il resto. Tutto questo “movimento” rende Led Zeppelin II probabilmente il miglior disco del primo periodo, il "vero" disco d'esordio dei Led Zeppelin. Le basi rimanevano blues, ed ancora anzi più di prima Page e Plant attingevano a piene mani dal solito bacino musicale. Per usare un eufemismo, a dire il vero: titoli, testi, melodie vennero "saccheggiati" un po' ovunque ai soliti bluesman di fiducia, rielaborati o perfino riproposti pari pari. Un giochino che costò agli avvocati della band tanta fatica e tanti soldi, cause spesso vinte ed altre giustamente perse, come quella con Willie Dixon. Tutto ciò non significa che Led Zeppelin II fosse un album derivativo, anzi. La sua personalità è unica e si distacca totalmente dalle fonti di ispirazione. Ma soprattutto, usando un minimo di senno di poi, o anche solo approfondendo l'analisi di quel particolare periodo storico e culturale, musicalmente parlando, "rubare" impudicamente dal repertorio di autori classici non fu  affatto un errore da parte dei Led Zeppelin, e nemmeno una grande infamia. Andrebbe infatti ricordato che tra la fine degli anni '60 e tutti gli anni '70 era pressoché la regola avere qualche causa aperta per plagio (nel blues poi, era quasi tradizione), ed ogni band o artista che si rispettasse era costantemente impegnata in un lavoro di revisionismo atto a cercare nel passato la chiave per il futuro. I Led Zeppelin quella chiave l'avevano trovata, ed è in virtù di ciò che il costante confronto con i capisaldi storici del loro sound era stato non solo necessario, ma essenziale, per loro e per il rock. Insomma, plagio o no, Led Zeppelin II è un album riuscito in pieno, come dimostrano sia le vendite, sia l'immortalità di molti dei suoi brani. Le ragioni di un così buon lavoro in un contesto tanto caotico sono molteplici, e vanno ricercate tanto nelle persone che vi lavorarono quanto negli spazi e nei tempi in cui dovettero agire. Il primo motivo è presto detto: i concerti live. Fu proprio il continuo lavoro sul palco l'energia ed il nutrimento per il secondo album, nulla di cui stupirsi per una band che aveva fatto della sua capacità di fomentare il pubblico la propria carta di identità. Fin dal primo album, addirittura lo studio di registrazione veniva preparato da Page allo scopo di catturare una sonorità che sembrasse suonata dal vivo. Grazie al continuo suonare davanti ad una folla inneggiante, grazie alle baldorie, grazie al sesso ed agli eccessi, Led Zeppelin II risente di una purezza, di una grezza e genuina potenza che esprime esattamente quello spirito che i 4 rappresentavano, e che tenevano a far cogliere al loro sempre più vasto pubblico; anche le improvvisazioni sul palco e le sperimentazioni estemporanee di quelle serate indiavolate, avrebbero profondamente segnato la personalità dell'album, rendendolo unico e maledettamente graffiante. Un altro  motivo che contribuì a rendere l'album quasi perfetto e degno di essere considerato il "vero disco d'esordio degli Zeppelin", fu la partecipazione. Con questo termine intendo sia l'affiatamento tra i quattro musicisti britannici che una più generica alchimia tra di loro, ma soprattutto una oggettiva partecipazione di ognuno di essi alla realizzazione di ogni aspetto del disco. Se infatti i Led Zeppelin erano ancora la "creatura" di Jimmy Page, è anche vero che le intense settimane e mesi passati a suonare insieme, fin dalla primissima formazione come New Yardbirds, avevano creato un profondo spirito di corpo, una maturazione artistica sia individuale che collettiva che non si sarebbe fermata fino alla morte di Bonzo. A differenza del primo album, su Led Zeppelin II non c'è un solo brano scritto unicamente da Page; tutti i pezzi vedono la partecipazione alla composizione di almeno uno dei membri del gruppo oltre a Jimmy, talvolta Robert Plant, ma più spesso tutta la band, nessuno escluso. Tutto ciò, fatta eccezione per Bring It on Home, attribuita al solo Willie Dixon, anche se giustamente rivendicata anche dagli altri Zeppelin in successive versioni.
L'album contiene molte metafore sessuali. Robert Plant dice: "Led Zep II era molto virile. Quello era l'album che stava per dire se avevamo o meno il potere di mantenimento e la capacità di stimolare. Era ancora blues-based, ma era un approccio molto più carnale alla musica e piuttosto brillante. È stato creato in corsa tra camere d'albergo e le GTO, e questo direi che è abbastanza.. '". Ad aprire il disco, una brevissima risata e un semplice riff di tre sole note. Saranno proprio quelle tre note a far entrare i Led Zeppelin nella leggenda. Il brano è "Whole Lotta Love", destinata a diventare uno degli inni per antonomasia del rock. Sorretto quasi totalmente da quel riff, evolve nella parte centrale in un baccanale rumoristico, tra percussioni tempestose, deflagranti distorsioni di chitarra e le urla viscerali e istintive di Plant. ecco le palesi "scopiazzature": la opener è ripresa da "You Need Love" di Willie Dixon (1962), e il terzo brano "The Lemon Song", blues lento e pesante, ma dalle improvvise impennate hard, da "Killing Floor" di Chester Burnett alias Howlin' Wolf. Il testo presenta ancora tendenze misogine, citando una celebre metafora sessuale di Robert Johnson: "Strizza il mio limone/ fino a quando non mi scende il succo lungo le mie gambe/ Se non strizzi il mio limone/ ti caccerò a calci dal letto". A questo testo si oppone quello di "Thank You", ballata con organo in evidenza, in cui Plant, nel primo testo scritto per il gruppo, omaggia la moglie. Il primo lato è completato dalla delicatezza acustica di "What Is And What Should Never Be", in cui emergono anche tendenze jazzistiche.Il lato B si apre con un altro capolavoro, "Heartbreaker", bignami per ogni successivo chitarrista, grazie all'assolo centrale privo di accompagnamento, che sperimenta uno dei primi tapping della storia. Sorvolando sulla piacevole e aggressiva "Living Loving Maid (She's Just a Woman)", le ultime tre perle dell'album sono le arrembanti "Ramble On" e "Bring It On Home": semi-folk la prima, in bilico tra languori acustici e scatti hard-rock, e blueseggiante (con tanto di armonica a bocca suonata da Plant) la seconda, e, tra queste due, lo strumentale "Moby Dick", contenente uno degli assoli di batteria più celebri della storia… Il design della copertina fu opera di David Juniper, al quale la band aveva semplicemente chiesto di "tirare fuori un'idea interessante". Juniper era un ex compagno di studi di Page alla Sutton Art College nel Surrey.La grafica della copertina si basò su una fotografia della Divisione Jagdstaffel 11 della Luftstreitkräfte durante la prima guerra mondiale, la famosa squadriglia volante capitanata dal celebre "Barone Rosso". Dopo aver colorato la foto, le facce dei quattro membri della band furono aerografate sui volti originali presi da una pubblicità del 1969. Gli altri visi aggiunti, secondo Juniper, furono Miles Davis o Blind Willie Johnson, un amico di Andy Warhol (possibilmente Mary Woronov) e l'astronauta Neil Armstrong, anche se in realtà si tratta dell'astronauta Frank Borman.

sabato 15 aprile 2017

Tagliatelle con pesto di fave e pistacchi.



Le fave sono sicuramente tra le verdure primaverili che preferisco ma mi piacciono più crude che cotte e quindi ho provato a utilizzarle  assieme ai pistacchi e alla menta per realizzare un pesto un pò alternativo!
  •     350 g tagliatelle
  • 250 g fave fresche sgranate / circa 1 kg con baccelli
  •  75 g pecorino
  •  1 spicchio di aglio piccolo (facoltativo)
  •  menta fresca
  • sale 
  • 1 pomodoro
  •  olio extravergine d'oliva
  • 2 cucchiai di pistacchi salato sgusciati

Sgranate le fave e privatele della buccia, mettetele nel bicchiere del frullatore. Aggiungete l’aglio sbucciato, i pistacchi, il pecorino tagliato a pezzetti, le foglie di menta e un pizzico di sale. Frullate fino ad ottenere una consistenza omogenea. Aggiungete abbondante olio per renderlo cremoso e aggiustate di sale e pepe. Cuocere le tagliatelle al dente in abbondante acqua salata. Prima di condire la pasta stemperare il pesto con poca acqua di cottura in una ciotola ampia. Aggiungere la pasta e mescolare bene in modo di distribuire bene il condimento. Se necessario aggiungere un filo di olio e servire con foglioline di menta fresca e qualche pezzetto di pomodoro fatto saltare in padella per qualche minuto con olio e uno spicchio d'aglio.
Songs. "Tomorrow Never Know" The Beatles



Il 5 agosto 1966 i Beatles danno alle stampe il loro album Revolver, e nulla sarà più come prima. Questo lavoro, infatti, cambierà, almeno per quel che concerne la musica leggera, quasi tutte le carte in tavola. Si può serenamente parlare di un pre-Revolver e di un post-Revolver, come capita molto di rado, nella storia e nella musica.Revolver, uscito mezzo secolo fa, e già prima Rubber Soul, uscito nel 1965, segnano il definitivo saluto alla fase puramente pop e leggera dei Fab Four. Da quel momento in poi entrano in scena aspetti sperimentali, legati a viaggi reali, spirituali e mentali che porteranno i Beatles verso una evoluzione e poi verso l’esplosione definitiva di Let it be. Da una parte ci sono suoni nuovi, provenienti in prevalenza dall’oriente, che si tratti del sitar o delle tabla, dall’altra un interessamento a quanto stava capitando in America, specie nella West Coast, quindi i suoni acustici, quasi folk, dei Byrds di Gene Clark, le commistioni corali e armoniche di Brian Wilson e dei suoi Beach Boys. In mezzo una vera e propria folgorazione per il suono proveniente da Detroit, e nello specifico dalla Motown. Quindi soul, con Otis Redding in testa.Non è possibile guardare a tutto questo senza tenere però conto di altri due fondamentali elementi. Da una parte i viaggi spirituali che guardavano a oriente, quindi, ma anche quelli trascendentali che guardano alla California, e a Berkley nello specifico. Non ci sarebbe stato Revolver, e prima di lui Rubber Soul, che di Revolver può essere legittimamente considerato un capitolo uno, se non ci fosse stato il lavoro di sperimentazione sull’LSD di Timothy Leary, con le sue teorie rivoluzionarie e se non ci fosse stato un abbondante uso di marijuana da parte dei quattro di Liverpool. Liverpool che, e questo è un altro aspetto fondamentale per capire in cosa Revolver è stato così rivoluzionario come lavoro, è sempre più lontana.Questo lavoro, infatti, è più che mai un lavoro legato allo studio di registrazione, quindi a Abbey Road, e a George Martin, prodigioso produttore che, in compagnia dei quattro, ha vissuto lo studio non più solo come un luogo dove suonare e incidere musica, ma anche dove intraprendere un viaggio nei suoni, osando laddove nessuno aveva osato prima. Del resto, ma questa è forse più leggenda che storia, Revolver sarebbe dovuto essere registrato a Detroit, proprio negli studi della Motown, e in seconda battuta in quelli di Memphis della Stax. Scartate entrambe queste soluzioni, i Beatles optarono ancora una volta per gli studi della Emi, a Abbey Road, e qui andarono a usare per la prima volta un nuovo metodo di sovraincisione, l’Automatic Double Tracking, che consentì loro di usare molte più tracce di quante non fosse possibile prima, usarono loop e compressori come non aveva fatto prima nessuno, provarono a cantare usando amplificatori per filtrare le voci, invece che collegando direttamente i microfoni ai mixer, lo stesso fecero per il basso e per i microfoni delle pelli della batteria. Insomma, sperimentarono anche nelle incisioni, oltre che nella scrittura. Il risultato è un album che suonò all’epoca davvero nuovo e di rottura, e che suona attuale ancora oggi. Il settimo album dei Beatles in studio, quindi, è un po’ un punto di non ritorno per il rock e il pop come lo conoscevamo prima, e volendo anche per quello che intorno al rock e al pop gira e girava. A questa esperienza seguiranno quelle ancora più estreme di Sgt.Pepper’s Lovely Hearts Club Band, del cosiddetto White Album, di Abbey Road e del finale Let it be. In questa occasione verranno sperimentati anche testi, daTaxman, di Harrison, con cui si apre il tutto, a quelli totalmente mistici, come Tomorrow Never Knows, con in mezzo i tanti pezzi in cui si fa cenno alla cultura psichedelica, da She Said She Said a Doctor Robert ispirata dal Doctor Robert Freymann, lo "Speed ​​Doctor" a New York che ha fornito droga a molte celebrità, tra cui i Beatles.Nell’album è contenuta anche la canzone che Paul McCartney considera da sempre la sua migliore composizione, Here, There and Everywhere. Insomma, primo album psichedelico. Primo album che usa lo studio in maniera diversa da prima, non più come mera sala di incisione, in cui si fanno convergere diverse influenze, da quelle orientali a quelle soul, passando per quelle folk,in cui spiritualità, politica e droghe hanno un peso molto alto...

domenica 9 aprile 2017

Torta di verdura primaverile



È arrivata la primavera e finalmente posso utilizzare in cucina alcune tra le verdure che amo di più, gli asparagi e le fave. Ho pensato di usarli per una torta di verdura un pò particolare che come base al posto dell'uovo e del formaggio ha una crema di tofu e peperoni..da provare!

Ingredienti:
  • 1 rotolo di pasta brisee
  • 2 peperoni (rosso e giallo)
  • 1 scalogno
  • 2 carciofi
  • 10 asparagi
  • 10 fave novelle (piccole!)
  • 2 patate viola piccole
  • 200 g di tofu naturale
  • 3 cucchiai di olio extravergine d'oliva
  • sale.


Lavare gli asparagi e sbucciate le patate. Metteteli a bollire per 10 minuti in acqua salata. quando saranno cotti ma non troppo morbidi scolateli dall'acqua e metteteli da parte. Lavare bene i peperoni, tagliarli a metà, eliminare i picciolo, i semi e i filamenti interni. 
Tagliarli a listarelle di un paio di centimetri di larghezza. Pulire e tagliare i carciofi a fette. Sgranare le fave. In una padella mettere l'olio e lo scalogno tagliato a strisce sottili. Portarla sul fuoco e farli ben dorare, quindi aggiungere i peperoni e i carciofi.
Saltare i peperoni e i carciofi a fiamma vivace per un paio di minuti, quindi abbassare la fiamma, unire un pizzico di sale, coprire e far cuocere per 15-20 minuti a fiamma medio-bassa, girando piuttosto spesso con un cucchiaio di legno.
Verso fine cottura scoperchiare, aggiungere gli asparagi, le fave e le patate tagliate a fette sottili , alzare la fiamma e rosolare qualche minuto finchè le verdure non si saranno insaporite..
 Frullate il tofu con 2 cucchiai d'olio, un pizzico di sale e qualche striscia di peperone cotto in precedenza ottenendo una crema.
Disponete la pasta brisee in una tortiera rivestita con carta forno e bucherellate il fondo con una forchetta.
Accendete il forno a 180°. M
escolate metà delle verdure con la crema di tofu. Stendete in maniera uniforme il composto e aggiungete l'altra metà delle verdure. Decorate a vostro piacere con altra pasta brisee e infornate a 180° per 20 minuti circa. Lascia raffreddare bene prima di tagliare a fette e servire.

Song: "Bitch" The Rolling Stones


Oggi vi parlo di uno dei locali storici nella scena musicale Inglese, il Marquee Club. Tra le mura di questo bar si sono conosciuti John Lennon e Yoko Ono, che all’epoca di quell’incontro gestiva una piccola galleria d’arte esattamente di fronte al club, così come si sono incontrati per la prima volta Paul Mc Cartney e la sua futura moglie Linda Eastman. Dietro l'esistenza del Marquee Club c’era Harold Pendelton. Pendelton era un giovane ragioniere con la passione per la musica jazz che lo porta a diventare un frequentatore assiduo nel circuito del jazz di Londra durante i primi anni '50. Alla fine lascia il lavoro per diventare il segretario della Federazione nazionale delle organizzazioni Jazz della Gran Bretagna, formate da un comitato di musicisti, critici, giornalisti e proprietari di club che stavano cercando di innalzare la qualità della scena del jazz in città.
Quando la sala da ballo Marquee ha iniziato a perdere popolarità ,nel 1958, ad Harold Pendleton è stata presentata l'opportunità di aprire il nuovo jazz club che aveva sempre sognato e così il Marquee Club è nato.
Nel 1963, una nuova generazione di artisti ha iniziato ad essere contattata per calcare il palco del club, come ad esempio Blues di Six e Big Pete Deuchards Country Blues. E proprio su questo palco ha visto la nascita una delle più grandi band della storia: il 12 luglio del 1962 la Blues Incorporated del chitarrista Alexis Korner avrebbe dovuto esibirsi come di consueto nella “serata blues”. Quel giovedì di luglio, però, accade un imprevisto: Korner e i suoi danno forfeit, perché impegnati a registrare alla radio. Pendleton è disperato ma il leader della Blues Incorporated lo tranquillizza. Il suo complesso non suonerà, ma si farà sostituire da sei fan accaniti. Il repertorio dopo tutto resta il blues di Chicago, tanto Willie Dixon con qualche spruzzata di Chuck Berry. Alla batteria c'è Mick Ivory che di lì a qualche anno debutterà con i Kinks, al basso Dick Taylor destinato a entrare nei Pretty Things, al piano uno spilungone scozzese di nome Ian Stewart. Ma saranno i rimanenti tre elementi della band a cambiare per sempre la storia: il caschetto biondo Brian Jones e i glimmer twins Mick Jagger e Keith Richards.
Nel gennaio 1963, questi ultimi debuttano dal vivo sotto il nome di Rolling Stones . Tra la fine degli anni sessanta e l’inizio dei ’70 suonarono al Marquee : Graham Bond (registrando un LP durante la sua esibizione nel locale), Skrewdriver, Pink Floyd, The Who, Buddy Guy, David Bowie, Led Zeppelin, Soft Machine, Rolling Stones, Van der Graaf Generator, Genesis, Jethro Tull, Dire Straits, AC/DC, Queen e Yes.
Alla fine del 1963, i proprietari del palazzo Marquee notificano a Pendleton le loro intenzioni di ristrutturare i locali e gli danno sei mesi per trasferirsi . Nel 1964 il club si trasferì a breve distanza da quello che è diventato la sua più famosa location, al 90 di Wardour Street.  Anche Jimi Hendrix vi suonò e fu proprio lui a portare il club all’apice del successo infrangendo ogni record di presenze riuscendo a portare nel piccolo club più di 1400 persone.
La Jimi Hendrix Experience ha suonato per la prima volta al Marquee Club la sera del 24 gennaio 1967 e fu la prima di tre storiche esibizioni La notizia che Jimi avrebbe suonato passò di bocca in bocca e ogni chitarrista in città che aveva sentito parlare delle meraviglie di questo chitarrista americano di colore andò a sentirlo al club.
C’era una coda di gente che andava dal Wardour a Shaftesbury Avenue fino alla Cambridge Circus.
Cinque giorni dopo, il 29 gennaio 1967, Jimi Hendrix fu ancora protagonista di un evento storico al Marquee Club.
Annunciato come The Battle of the Bands l'evento era inteso come uno speciale show in omaggio al famoso manager dei Beatles, Brian Epstein, che poi scomparve il 27 agosto 1967. Quella serata fu inoltre caratterizzata da una storica jam session con gli Who. In quella serata si sussurra fossero presenti come spettatori i fab four.
Il 2 Marzo, 1967, Jimi Hendrix suonò al Marquee Club per le riprese del programma della TV tedesca Beat Club, l’esibizione comprendeva l'esecuzione dei brani "Hey Joe" e "Purple Haze". Dopo questo concerto Hendrix iniziò il suo primo tour nel Regno Unito con i Walker Brothers in coincidenza con l'uscita del primo album della Jimi Hendrix Experience"Are You Experienced?".
Il club Marquee si era trasformato nel posto giusto per accendere una carriera musicale e la costruzione di un nome per fare un passo avanti nel mondo della nuova musica rock.
La seconda metà degli anni '70 è stato un momento importante nella storia del club Marquee riguardo con la nascita del punk britannico. Calcarono il palco nomi come Clash, Jam, Ultravox, Pretenders, the Police, Cure, Joy Division, Adam and the Ants, The Damned, Generation X, Siouxsie and the Banshees, e The Sex Pistols.
Questo percorso è stato seguito nei primi anni '80 da nuovi artisti come U2, Duran Duran, Thompson Twins e gruppi più hard rock come Iron Maiden, Motorhead, Def Leppard, Diamond Head, e AC / DC.
A causa della vibrazione costante di migliaia di watt al club per più di 30 anni, nel 1987, una commissione ha stabilito che la facciata del palazzo a 90 Wardour Street era leggermente scivolata in avanti verso il marciapiede, e la sua demolizione era necessaria per motivi di sicurezza. Joe Satriani ha suonato la notte del 18 Luglio 1988 prima che il Marquee ha chiudesse per l'ultima volta.
Nel 1988, il club è stato trasferito a 105-107 Charing Cross e nel corso degli ultima decade degli anni '80 la nuova versione del club Marquee stato ancora una volta un importante punto d'incontro per la scena rock inglese. La serata di apertura è stato il 16 agosto 1988 e ha caratterizzato il celebre disco rock band Kiss.
La nuova sede il club ha continuato a rappresentare una parte importante della storia della musica fino alla sua chiusura nel 1995. Dopo il Marquee, i club Moon Under Water nel 2002 e il Montagu Pyke nel 2004 sono stati aperti nella stessa posizione.